Onorevoli Colleghi! - Il testo recante modifiche alla seconda parte della Costituzione approvato dalla Commissione affari costituzionali va anzitutto collocato nel dibattito sull'adeguamento della Costituzione repubblicana, che vanta ormai una storia più che ventennale. Riconoscere la necessità dell'adeguamento, anche formale, della Carta di cui ricorre - fra due mesi - il sessantesimo anniversario dell'approvazione da parte dell'Assemblea costituente (avvenuta il 22 dicembre 1947) implica una duplice constatazione.
      Da un lato, infatti, ragionando di un adeguamento del testo costituzionale e non di una sua riforma radicale, si intende riconoscere la validità della Carta costituzionale dell'Italia post-bellica.
      D'altro lato, riconoscere l'esigenza di un adeguamento significa prendere atto che alcune scelte compiute oltre mezzo secolo fa dai padri costituenti in materia di ordinamento della Repubblica accusano l'usura del tempo e richiedono un aggiornamento. Certo, quest'ultimo ha continuamente luogo anche in forme diverse dalla modifica formale, in ragione dell'apertura del progetto costituzionale, percepibile non solo nei principi previsti nella prima parte, ma anche nell'essenziale profilo del governo parlamentare previsto nella seconda. Tuttavia, proprio per quanto attiene all'organizzazione costituzionale dello Stato, il lungo dibattito sulle riforme svoltosi dall'inizio degli anni ottanta ad oggi ha isolato alcuni punti di consenso, su due temi fra loro distinti, ma anche in un certo modo connessi.
      Se, infatti, si ripercorre il lungo cammino segnato dal «decalogo Spadolini» (1982), dal Comitato Riz-Bonifacio (VIII legislatura), dalla Commissione Bozzi (IX legislatura), dalla Commissione De Mita Iotti (XI legislatura), dal Comitato Speroni (1994), dalla Commissione D'Alema (XIII legislatura), dalla riforma del titolo V nel 2001 e dal disegno di legge approvato dalle Camere nel 2005 e respinto dal corpo elettorale nel referendum confermativo del 2006, si individuano alcuni fili conduttori comuni, che attraversano progetti di riforma costituzionale pur molto diversi tra loro per vari aspetti.
      Tali fili conduttori attengono a due grandi questioni: da un lato l'esigenza di superare il bicameralismo paritario, individuando nel Senato una istanza di rappresentanza territoriale; dall'altro il rafforzamento del Presidente del Consiglio dei ministri all'interno del potere esecutivo. Certo, non si può negare che i vari progetti di revisione costituzionale sin qui succedutisi abbiano individuato soluzioni fra loro molto diverse ai problemi ora accennati. Né si può tacere che tali progetti si sono fra loro differenziati per il grado di incisività delle riforme che proponevano, o per la dimensione dello scostamento dall'ispirazione originaria della Costituzione. Tuttavia, pur fra queste differenze, si possono scorgere alcuni contenuti minimi comuni: ed è proprio su questi contenuti - sui quali si può forse ritenere che si sia formato un consenso «per intersezione» fra le varie forze politiche - che il presente testo tenta di intervenire.
      Il metodo seguito ha privilegiato l'adozione di interventi mirati e limitati, pur se dalla portata fortemente innovativa. Questa scelta caratterizza la presente proposta rispetto ai precedenti tentativi di realizzare una «grande riforma» onnicomprensiva. Il testo è perciò il frutto di un metodo pragmatico e graduale, che non impedisce affatto di affrontare, nei tempi e con il respiro necessario, le altre grandi questioni istituzionali che il Paese si trova

 

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dinanzi. Dall'esperienza delle precedenti legislature ci giunge una lezione precisa, che è stata anch'essa adottata quale metodo: occorre evitare di complicare ulteriormente il funzionamento di un sistema già oggi sin troppo complesso. Tutti gli interventi mirano quindi a semplificare e a snellire il funzionamento delle istituzioni, e questo riteniamo debba essere il criterio fondamentale da adottare anche per migliorare e perfezionare il testo in esame, mirando altresì a conservare la sintesi e l'essenzialità che sono il pregio di un testo costituzionale.
      Il bicameralismo paritario, ben noto nel costituzionalismo meno recente, è stato via via abbandonato in gran parte degli ordinamenti liberaldemocratici, fino a costituire, oggi, una vera e propria rarità costituzionale. Esso, inoltre, se continua a sopravvivere nell'ordinamento statunitense ed in quello elvetico, che sono caratterizzati dall'assenza del rapporto fiduciario fra Esecutivo e Legislativo, si rivela ancor più problematico laddove coinvolge non solo il procedimento legislativo, ma anche la formazione e la rimozione dei Governi: e ciò si verifica oggi solo nel regime parlamentare italiano, oltre che in quello (peraltro corretto con elementi di tipo semipresidenziale) in vigore in Romania sulla base della recente Costituzione del 1991. Anche il bicameralismo apparentemente paritario previsto nell'ordinamento canadese è poi stemperato da una serie di convenzioni costituzionali le quali da un lato escludono il Senato dal rapporto di fiducia e dall'altro fanno sì che la seconda Camera non insista sulle sue posizioni quando vi è un chiaro orientamento della Camera politica in una certa direzione.
      Il bicameralismo paritario è, com'è noto, fonte di lentezza e di scarsa efficienza dell'azione di governo. Ciò è ancor più visibile nel contesto attuale della democrazia bipolare e maggioritaria, ove il bicameralismo paritario rischia di paralizzare il funzionamento fisiologico delle istituzioni in presenza di (possibili, anche se improbabili) maggioranze contrastanti nelle due Assemblee parlamentari.
      L'esigenza di riformare il Senato si salda, d'altro canto, con un'istanza relativa all'assetto del sistema regionale italiano, rimasto incompleto a seguito della riforma del titolo V della parte II della Costituzione approvata nel 2001. Tale riforma preannunciava una ulteriore riforma della parte della Costituzione relativa alla composizione del Parlamento, con una formula - contenuta nell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 - che è stata considerata come una «promessa costituzionale». A tale promessa il testo in esame tenta di dare adempimento.
      La trasformazione del Senato in un vero e proprio Senato federale della Repubblica, eletto su base regionale, dai Consigli regionali e dai Consigli delle autonomie locali è una scelta di grande rilievo, non priva certo di qualche controindicazione, ma finalizzata all'obiettivo di dare una voce ben identificata alle Regioni nel Parlamento nazionale e, in particolare, nel procedimento legislativo. La modalità di elezione del Senato tiene conto, d'altro canto, della forma data alla Repubblica dall'articolo 114 della Costituzione, come riformato nel 2001: si tratta di un sistema che - pur attribuendo alle Regioni una posizione privilegiata nella legislazione - valorizza fortemente anche il ruolo delle autonomie locali. A questa impostazione corrisponde la scelta di far eleggere i senatori dai Consigli regionali e in misura minore dal Consiglio delle autonomie locali. Quest'ultimo organo dovrà d'altronde essere oggetto di alcune norme statali che ne prescrivano una omogeneità minima che gli statuti regionali dovranno rispettare. A parte la novità rappresentata dai senatori eletti dalle autonomie locali, questo metodo di elezione del Senato riprende il noto modello del Bundesrat austriaco (ma il Senato delineato in questo progetto è ben più forte del Senato paritario), praticato anche in altri Paesi: in Spagna (peraltro solo per una minoranza dei senatori), negli Stati Uniti sino al 1913 e in India (articolo 80, quarto comma, della Costituzione del 1950).
 

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      Al superamento del bicameralismo paritario si accompagnano altre importanti modifiche che concorrono a razionalizzare la forma di governo e a consentire al Parlamento, e in particolare alla Camera dei deputati, di svolgere al meglio quella funzione di indirizzo politico e di normazione primaria che la Costituzione gli assegna. Del resto, come si accennava sopra, quello del rafforzamento del Presidente del Consiglio all'interno del Governo, della stabilità dell'Esecutivo e dell'efficacia della sua azione è l'altro filo rosso che attraversa il lungo dibattito sulle riforme costituzionali in Italia.
      Va anzitutto evidenziato che il passaggio ad un sistema bicamerale non paritario consente di per sé una notevole razionalizzazione e semplificazione del processo decisionale politico. Il Governo e il suo leader ne risultano indirettamente rafforzati.
      Del resto, il progetto prevede ulteriori e specifiche misure di rafforzamento del potere esecutivo. Queste possono essere distinte in due tipi.
      Da un lato il testo in esame prevede che il rapporto di fiducia si instauri non più fra il Governo e le due Camere, ma fra il Presidente del Consiglio dei ministri e la Camera dei deputati, come accade in vari Paesi europei (ad esempio Svezia, Spagna, Germania, Francia). La fiducia verrebbe concessa al Presidente del Consiglio, sia pure dopo la formazione del Governo (e quindi con una valutazione della Camera che avrà ad oggetto, oltre alla persona del Presidente del Consiglio, anche quelle dei ministri e il programma dell'Esecutivo). Per la sfiducia viene invece innalzato il quorum per la presentazione della relativa mozione e previsto il requisito della maggioranza assoluta per l'approvazione.
      D'altro canto il progetto di legge in esame prevede uno status costituzionale per il «Governo in Parlamento» ben più ricco dell'attuale. L'articolo 8 del testo della Commissione, che modifica l'articolo 72 della Costituzione, stabilendo che «Il Governo può chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno di ciascuna Camera e sia votato entro una data determinata, nei limiti e secondo le modalità stabilite dai regolamenti. Il termine deve in ogni caso consentire un adeguato esame del disegno di legge» si muove certo sulla linea di tendenze emerse nel quadro delle riforme dei regolamenti parlamentari dell'ultimo ventennio, ma precisa con chiarezza che un ruolo formale spetta al governo nella concreta configurazione dell'agenda parlamentare. Libero l'organo rappresentativo di non sostenere le misure che l'Esecutivo reputa centrali per l'attuazione del suo programma, ma nel quadro di un'agenda di lavori che tenga adeguatamente conto delle priorità fissate dall'Esecutivo, che si vede così riconosciuto formalmente il ruolo di «comitato direttivo» della maggioranza parlamentare.
      Scopo principale del progetto è la modernizzazione del sistema politico. Questo termine, un po' abusato, in materia istituzionale vuol dire procedure semplici e decisioni veloci, nel rispetto, naturalmente, dei princìpi di rappresentanza e di pluralismo. Il sistema originario, quello di cui ancora oggi disponiamo, era fondato sulla mancanza di alternanza al governo del Paese, sul primato dello Stato nazionale e sulla centralità della legge. Oggi c'è l'alternanza, le decisioni degli Stati nazionali sono inserite entro un sistema globale per la vita quotidiana; è centrale, accanto alla legge, la decisione esecutiva. Occorre adeguare le regole al mutato contesto politico-istituzionale.

      Si illustrano ora le opzioni normative in cui questi orientamenti di fondo vengono tradotti.

La revisione del sistema bicamerale.

      Il testo, pur ritenendo necessario conservare al nostro ordinamento i caratteri di un sistema bicamerale, ha inteso procedere nel senso di un deciso superamento dell'attuale bicameralismo paritario, differenziando le due Camere con riguardo al titolo di legittimazione, alla composizione,

 

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alle modalità di partecipazione al procedimento legislativo, alla sussistenza del rapporto fiduciario con il Governo.

      La trasformazione più profonda, come si dirà subito, riguarda il Senato della Repubblica, ma anche la Camera dei deputati è oggetto di rilevanti interventi modificativi, con particolare riguardo alla composizione.
      L'articolo 2 del testo della Commissione, novellando l'articolo 56 della Costituzione, incide infatti sul numero dei deputati, che viene ridotto da 630 a 500, oltre al numero dei deputati eletti nella circoscrizione Estero.
      Non viene modificata la disciplina dell'elettorato attivo, per il quale resta il «suffragio universale e diretto»; quanto all'elettorato passivo, l'età minima per essere eletti si abbassa invece dai 25 ai 18 anni.

      Venendo al Senato della Repubblica, questo - come dispone l'articolo 1 del testo della Commissione, che riscrive il primo comma dell'articolo 55 della Costituzione - muta il suo nome in «Senato federale della Repubblica». La nuova denominazione evidenzia la volontà di individuare nel Senato l'organo costituzionale che connota la scelta in senso federalista del progetto di riforma, e l'organo nel quale si intende realizzare il raccordo tra le potestà legislative e normative delle autonomie territoriali e dello Stato - enti costitutivi della Repubblica, ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione - e la partecipazione del sistema politico regionale e locale alle funzioni «alte» dell'ordinamento costituzionale.
      Riflette con chiarezza questa scelta la composizione del Senato federale, come definita dall'articolo 3 del testo della Commissione, che sostituisce integralmente l'articolo 57 della Costituzione. Suo carattere innovativo fondamentale è l'abbandono dell'elezione a suffragio universale e diretto (il successivo articolo 4 abroga in conseguenza l'articolo 58 della Costituzione) in favore dell'elezione di secondo grado ad opera delle assemblee elettive regionali e dei consigli delle autonomie locali. Di tali soggetti istituzionali, e delle relative comunità, il Senato federale diviene interprete nel procedimento di formazione delle leggi. Sono parallelamente ricondotte alla sola Camera dei deputati la rappresentanza politica generale nascente dalla diretta legittimazione popolare, e la correlativa responsabilità che trova la sua espressione nel rapporto di fiducia.
      La maggior parte dei senatori è eletta da ciascun Consiglio regionale, tra i propri componenti, con voto limitato al fine di garantire la rappresentanza delle minoranze. Le modalità di elezione saranno definite da una legge dello Stato.
      Il numero degli eletti in ciascuna Regione varia in base alla popolazione, ma la natura dell'organo ha suggerito di abbandonare un criterio di stretta proporzionalità. In particolare, i Consigli regionali eleggono:

          cinque senatori nelle Regioni con popolazione sino a un milione di abitanti;

          sette senatori nelle Regioni con più di un milione e fino a tre milioni di abitanti;

          nove senatori nelle Regioni con più di tre milioni e fino a cinque milioni di abitanti;

          dieci senatori nelle Regioni con più di cinque milioni e fino a sette milioni di abitanti;

          dodici senatori nelle Regioni con più di sette milioni di abitanti.

      Nelle regioni Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste e Molise i rispettivi Consigli regionali eleggono un solo senatore.
      Un'ulteriore quota di senatori (uno nelle Regioni sino a un milione di abitanti; due nelle Regioni con popolazione superiore, anche in questo caso con voto limitato) è eletta in rappresentanza delle autonomie locali. Sono eleggibili i componenti dei Consigli dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane; il corpo elettorale è invece individuato nel Consiglio delle autonomie locali.
      Com'è noto, il Consiglio delle autonomie locali è un organo di recente introduzione nell'ordinamento: esso è previsto dal quarto comma dell'articolo 123 della Costituzione, nel testo riformulato dalla legge di riforma del titolo V della parte II

 

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della Costituzione, che lo definisce «organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali» e ne rimette la disciplina ai singoli statuti regionali.
      Nelle Regioni che hanno sin qui dato attuazione al disposto costituzionale la composizione di tale organo, pur sempre elettiva, presenta differenze anche sostanziali con riguardo al numero dei componenti, alla legittimazione elettorale attiva e passiva, alla presenza di «membri di diritto». Questo è del tutto naturale; quando però il Consiglio sia chiamato ad una funzione che esula da quella meramente consultiva, qual è l'elezione dei membri del Senato federale della Repubblica, è di tutta evidenza la necessità di introdurre criteri di omogeneità nella sua composizione, al fine di evitare che differenze troppo marcate incidano sulla rappresentatività dell'organo parlamentare. A tal fine, l'articolo 18 del testo della Commissione aggiunge un comma all'articolo 123 della Costituzione, rimettendo a una legge dello Stato la determinazione dei principi fondamentali per la formazione e la composizione dei Consigli delle autonomie locali.
      Particolari disposizioni sono previste per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. In questa Regione sono i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano ad eleggere, con voto limitato, due senatori per ciascuna Provincia. Un ulteriore senatore per ciascuna Provincia autonoma sarà eletto dai rispettivi Consigli delle autonomie locali. Durante l'esame in Commissione si è discusso della conformità di tale soluzione con lo spirito della misura 111 del «pacchetto» in favore delle popolazioni altoatesine, ove si prevede che la definizione delle circoscrizioni elettorali per le elezioni del Senato favorisca la partecipazione al Parlamento dei rappresentanti dei gruppi linguistici italiano e tedesco della Provincia autonoma di Bolzano, in proporzione alla consistenza dei gruppi stessi. La questione merita un approfondimento, che si ritiene possa aver luogo nel corso dell'esame in Assemblea.
      In ciascuna Regione, tutti i senatori sono eletti entro trenta giorni dalla prima riunione del rispettivo Consiglio regionale (o provinciale, per le Province autonome di Trento e di Bolzano), successiva all'elezione.
      Ai sensi del successivo articolo 60 della Costituzione, riformulato dall'articolo 5 del testo della Commissione, i senatori eletti in ciascuna Regione o Provincia autonoma restano in carica fino alla data della proclamazione dei nuovi senatori della medesima Regione o Provincia autonoma. A tale contestualità, connaturata alla composizione dell'organo, consegue che il Senato non ha più una durata predefinita ma è soggetto a rinnovi parziali, più o meno ampi, in occasione del rinnovo dei singoli Consigli regionali o delle due Province autonome.

La funzione legislativa dello Stato.

      La nuova configurazione del procedimento di formazione delle leggi dello Stato appare una necessaria risultante della già menzionata scelta di fondo in favore del superamento del bicameralismo paritario, operata dal progetto di riforma attribuendo a un ramo del Parlamento la natura di Camera rappresentativa delle realtà territoriali, e all'altro ramo la titolarità del rapporto di fiducia con il Governo.
      L'obiettivo perseguito è quello di assicurare una significativa partecipazione del nuovo Senato federale a tutte le procedure legislative, rafforzando anzi il peso istituzionale delle sue deliberazioni nelle materie che più da vicino incidono sul rapporto Stato-autonomie territoriali, e mantenendo il suo ruolo paritario nell'adozione delle scelte «di sistema»; senza peraltro consentire che, nella restante attività legislativa, tale peso si trasformi in un veto non superabile, tale da paralizzare l'iter legislativo e impedire l'attuazione del programma sul quale il Presidente del Consiglio abbia ottenuto la fiducia della Camera.
      Contestualmente, si è cercato di semplificare e snellire il procedimento legislativo definendo, per quanto possibile, i

 

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tempi di esame e limitando le ipotesi di navette tra le due Camere.
      È risultato necessario, a tal fine, dare all'articolo 70 della Costituzione una formulazione più articolata dell'attuale, che oggi si limita a disporre che «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere».
      Il nuovo articolo 70 - come novellato dall'articolo 7 del testo della Commissione - configura quattro distinti procedimenti legislativi:

          un procedimento che potrebbe definirsi «bicamerale paritario», nel quale, non diversamente da oggi, Camera e Senato federale esercitano collettivamente la funzione legislativa;

          un procedimento «bicamerale a prevalenza Camera», nel quale il testo approvato, in prima lettura, dalla Camera dei deputati può essere modificato dal Senato federale, ferma restando in capo alla Camera la deliberazione sul testo definitivo;

          un terzo procedimento, secondo il quale, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, se le modifiche approvate dal Senato riguardano le materie di cui all'articolo 118, commi secondo e terzo, o 119, commi terzo, quinto e sesto, la Camera può ulteriormente modificarle o respingerle solo a maggioranza assoluta dei propri componenti;

          un quarto procedimento, nel quale è invece riservato al Senato l'esame del progetto di legge in prima lettura, spettando comunque alla Camera l'approvazione definitiva.

      Il procedimento «bicamerale paritario», di cui al primo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione, non presenta differenze rispetto a quello oggi in vigore (non a caso il nuovo testo conserva il termine «collettivamente», già presente nel vigente articolo 70). Esso richiede che i due rami del Parlamento esaminino, in successive letture, il progetto di legge e lo approvino nel medesimo testo.
      Tale procedimento trova peraltro applicazione solo per alcune categorie di provvedimenti. Si tratta di quelli che direttamente incidono sull'assetto costituzionale, o definiscono il quadro delle regole generali che presiedono ai rapporti tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane: ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione):

          le leggi costituzionali (per le quali resta ferma la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione, che richiede la doppia lettura da parte delle due Camere e consente il ricorso al referendum) e quelle in materia elettorale;

          le leggi che disciplinano:

              gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (il testo riprende qui il dettato dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione);

              l'ordinamento di Roma, capitale della Repubblica (articolo 114, terzo comma, della Costituzione);

              l'attribuzione a Regioni a statuto ordinario di forme e condizioni particolari di autonomia (articolo 116, terzo comma, della Costituzione);

              le procedure e l'esercizio del potere sostitutivo con riguardo alla partecipazione delle Regioni alla «fase ascendente» e «discendente» del diritto comunitario e all'esecuzione degli accordi internazionali (articolo 117, comma quinto, della Costituzione), nonché il «potere estero» delle Regioni (articolo 117, comma nono, della Costituzione);

              le procedure per l'esercizio (nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione) dei poteri sostitutivi del Governo nei confronti di Regioni ed enti locali (articolo 120, secondo comma, della Costituzione);

              i princìpi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali (articolo 122,

 

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primo comma, della Costituzione);

              i princìpi fondamentali per la formazione e la composizione dei Consigli delle autonomie locali (articolo 123, quinto comma, della Costituzione, introdotto dall'articolo 18 del testo della Commissione);

              il passaggio di Province o Comuni da una Regione ad un'altra (articolo 132, secondo comma, della Costituzione), il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove Province (articolo 133, primo comma, della Costituzione);

          le leggi che istituiscono e disciplinano le Autorità di garanzia e di vigilanza (che in questa sede, e per la prima volta, trovano un riconoscimento a livello costituzionale);

          le leggi in materia di tutela delle minoranze linguistiche.

      La generalità degli altri progetti di legge, ai sensi del riformulato terzo comma dell'articolo 70 della Costituzione, è invece esaminata e approvata in prima lettura dalla Camera dei deputati. Il Senato federale della Repubblica, al quale è trasmesso il testo approvato, su richiesta di un quinto dei suoi componenti può esaminarlo e (entro trenta giorni dalla trasmissione, termine ridotto alla metà per i disegni di legge di conversione di decreti-legge) può modificarlo.
      Spetta comunque alla Camera dei deputati pronunciarsi su tali modifiche in via definitiva.
      Se, tuttavia, le modifiche riguardano materie di precipuo interesse regionale, esse hanno un valore per dir così «rinforzato»: la Camera può infatti discostarsi da quanto il Senato federale ha deliberato solo votando a maggioranza assoluta dei propri componenti.
      Le materie su cui tale maggioranza qualificata è richiesta sono le seguenti:

          il conferimento di funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo (articolo 118, comma secondo, della Costituzione) e il coordinamento dell'attività amministrativa tra Stato e Regioni in determinate materie (articolo 118, comma terzo, della Costituzione);

          l'istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale (articolo 119, comma terzo, della Costituzione);

          gli interventi speciali dello Stato in favore di determinati enti territoriali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione);

          i princìpi generali di attribuzione del patrimonio a Regioni ed enti locali (articolo 119, comma sesto, della Costituzione).

      Il secondo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione individua una terza modalità di approvazione, riservata unicamente alle leggi che hanno lo scopo di determinare i principi fondamentali nelle materie rientranti nella competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
      I relativi progetti di legge sono individuati dai Presidenti delle due Camere, d'intesa tra loro, per essere assegnati al Senato federale della Repubblica che, dunque, li esamina sempre in prima lettura.
      Il testo esaminato ed eventualmente emendato dal Senato federale è trasmesso, dopo l'approvazione, alla Camera dei deputati, alla quale spetta l'esame in seconda lettura e l'approvazione in via definitiva. La Camera può dunque certamente modificare il testo approvato dal Senato: ma qualsiasi emendamento dovrà in tal caso essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea.

La forma di Governo e i rapporti Governo-Parlamento.

      Gli articoli 14 e 15 del progetto di legge costituzionale intervengono rispettivamente sugli articoli 92 e 94 della Costituzione, che disciplinano la formazione del Governo e il rapporto di fiducia tra questo e il Parlamento. La finalità perseguita è

 

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duplice: valorizzare la posizione del Presidente del Consiglio - sia nell'ambito dell'Esecutivo, sia nei rapporti con il Parlamento - e superare il bicameralismo perfetto che caratterizza anche la forma di governo parlamentare italiana, differenziando le due Camere sotto il profilo del rapporto fiduciario; ciò in correlazione con gli altri articoli del progetto di legge costituzionale, dei quali si è detto, che investono sia la composizione delle due Camere sia le modalità di esercizio della funzione legislativa.
      L'articolo 15 introduce nel secondo comma dell'articolo 92 della Costituzione due sostanziali novità.
      La prima consiste nell'esplicito collegamento tra l'esercizio del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Capo dello Stato e la volontà espressa dal corpo elettorale. Il testo novellato dispone infatti che la nomina abbia luogo «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati».
      La formulazione adottata mira ad evidenziare e rendere anche formalmente necessario tale collegamento senza, tuttavia, intaccare le prerogative costituzionali del Capo dello Stato né ridurre la flessibilità necessaria in un così delicato passaggio istituzionale.
      Il secondo fattore di novità consiste nel conferimento al Presidente del Consiglio dei ministri del potere di proporre al Capo dello Stato la revoca - oltre che la nomina - dei ministri.
      Il testo non pone limiti espliciti a tale potere: ne consegue il chiaro riconoscimento al Presidente del Consiglio della facoltà di proporre la sostituzione di uno o più ministri non solo quando lo impongano esigenze esterne, ma in ogni caso in cui questi valuti necessario od opportuno un avvicendamento.

      La riscrittura dell'articolo 94 della Costituzione operata dall'articolo 15 del testo della Commissione introduce anch'essa due elementi di novità:

          la fiducia è accordata non più al Governo, bensì al Presidente del Consiglio dei ministri, che presenta il suo Governo alla Camera;

          la fiducia è accordata o revocata non più da entrambe le Camere, bensì dalla sola Camera dei deputati; è dunque solo con quest'ultima che intercorre il rapporto fiduciario.
      Il primo elemento innovativo, al pari del descritto potere di revoca dei ministri, ha la finalità di rafforzare la posizione del Presidente del Consiglio sia nell'ambito della compagine governativa sia nel rapporto con le forze politiche che lo sostengono; il secondo elemento di novità ha l'effetto di escludere il Senato federale dal rapporto di fiducia, coerentemente con la sua nuova composizione che ne fa la sede parlamentare di rappresentanza delle autonomie territoriali.
      Un'ulteriore modifica è apportata alla disciplina della mozione di sfiducia, di cui al quinto comma dell'articolo 94 della Costituzione: essa deve essere firmata da almeno un terzo - e non più un decimo - dei componenti la Camera dei deputati e deve essere approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Anche tale modifica mira a rafforzare la stabilità dell'Esecutivo.
      A rafforzare la posizione del Governo in Parlamento, onde consentirgli una più efficiente attuazione del suo programma, è finalizzato anche l'articolo 8 del testo della Commissione, che aggiungendo un comma all'articolo 72 della Costituzione consente al Governo di chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sia votato entro una data determinata.
      I limiti e le modalità di esercizio di tale prerogativa sono peraltro rimessi ai regolamenti delle due Camere, alle quali è garantito in ogni caso il tempo necessario a consentire un adeguato esame del disegno di legge.

      Altre disposizioni introducono ulteriori strumenti di garanzia a favore dell'istituzione parlamentare, limitando o sottoponendo a controllo l'esercizio del potere legislativo da parte del Governo nelle due

 

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ipotesi in cui la Costituzione lo consente: la delegazione legislativa e la decretazione d'urgenza.
      Quanto alla prima, l'articolo 10 del testo della Commissione aggiunge un comma all'articolo 76 della Costituzione, disponendo che tutti gli schemi di decreti legislativi predisposti dal Governo siano trasmessi alle Camere per essere sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti; è in tal modo generalizzato e costituzionalizzato un obbligo oggi previsto solo in alcuni casi dalle leggi di delega.
      Quanto alla seconda, l'articolo 11 riformula l'articolo 77 della Costituzione introducendo espliciti limiti di contenuto al potere del Governo di adottare decreti-legge. In particolare, non è possibile con tale strumento:

          rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge;

          ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale;

          conferire deleghe legislative;

          attribuire poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge.

      Sono in tal modo elevati a rango di norma costituzionale anche alcuni limiti alla decretazione d'urgenza già presenti nell'ordinamento (all'articolo 15 della legge n. 400 del 1988), ma troppo facilmente derogabili in quanto disposti con legge ordinaria.

Il Presidente della Repubblica.

      Tra le varie modifiche apportate dall'articolo 13 del testo in esame al titolo II della parte II della Costituzione, che tratta la figura del Presidente della Repubblica, alcune - pur rilevanti - rispondono ad esigenze di coordinamento. Ci si riferisce principalmente:

          all'abrogazione del secondo comma dell'articolo 83 della Costituzione, che prevede l'integrazione del Parlamento in seduta comune con delegati regionali in occasione dell'elezione del Capo dello Stato. La presenza di tali delegati non appare più necessaria in presenza di un Senato federale i cui componenti sono la diretta espressione delle assemblee elettive regionali e delle rappresentanze locali;

          all'attribuzione al Presidente della Camera dei deputati delle funzioni di supplenza in caso di temporaneo impedimento del Capo dello Stato (articolo 86 della Costituzione);

          all'esercizio del potere di scioglimento (articolo 88 della Costituzione), che viene limitato alla sola Camera dei deputati.

      Costituisce invece una sostanziale, ulteriore novità la modifica apportata all'articolo 84 della Costituzione, in virtù della quale l'età minima che (insieme alla cittadinanza e al godimento dei diritti civili e politici) costituisce il solo requisito per l'elezione alla carica di Presidente della Repubblica è abbassata dagli attuali cinquanta a quaranta anni.

Le disposizioni di coordinamento e la disciplina transitoria.

      Gli articoli 6, 9, 12, 16, 17, 19 e 20 recano tutte disposizioni necessarie al coordinamento tra le modifiche apportate dal progetto di legge e le restanti parti del testo costituzionale.
      Va in particolare segnalato l'articolo 19, che modifica il primo comma dell'articolo 126 della Costituzione, relativo allo scioglimento dei Consigli regionali e alla rimozione dei Presidenti delle Giunte regionali per atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o per ragioni di sicurezza pubblica. Il testo vigente richiede che il decreto motivato di scioglimento sia adottato dal Presidente della Repubblica «sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica». Tenuto conto della composizione del Senato federale, in cui le

 

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istanze regionali trovano diretta espressione, la previsione costituzionale di tale Commissione - si tratta della Commissione parlamentare per le questioni regionali - è apparsa superflua; si prevede pertanto che il parere sia reso dai Presidenti delle due Camere.

      Gli ultimi due articoli del testo recano la disciplina transitoria necessaria per condurre a regime la riforma costituzionale. Tale disciplina dovrà naturalmente essere adeguata in relazione alle eventuali ulteriori modifiche che l'Assemblea riterrà di apportare al testo.
      L'articolo 21, al comma 1, prevede che le disposizioni introdotte dalla riforma trovino applicazione a decorrere dalla legislatura successiva a quella in corso, «e con riferimento alle relative elezioni delle due Camere». Quest'ultimo inciso mira a chiarire che, sin dall'entrata in vigore della legge costituzionale, dovranno tempestivamente predisporsi gli strumenti legislativi necessari alla sua successiva operatività, con particolare riguardo:

          alle modifiche alla disciplina per l'elezione della Camera necessarie per tener conto della riduzione del numero dei deputati e dell'abbassamento della soglia di età per l'attribuzione dell'elettorato passivo;

          all'adozione della legge statale che detti le modalità di elezione del Senato federale della Repubblica;

          all'adozione della legge dello Stato e della successiva disciplina regionale atta a definire le nuove modalità di formazione e composizione dei Consigli delle autonomie locali.

      La disciplina elettorale dovrà essere approvata - secondo quanto dispone il comma 3 dell'articolo - entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di riforma.
      Il comma 2 disciplina la prima elezione del Senato federale della Repubblica: questa avrà luogo contestualmente all'elezione della Camera dei deputati (anch'essa nella nuova composizione) al termine della corrente legislatura, ad opera dei Consigli regionali in carica. Nelle Regioni i cui Consigli risultassero sciolti a tale data, l'elezione sarebbe differita per essere effettuata dal Consiglio neoeletto. I senatori così eletti resteranno in carica sino al rinnovo dei rispettivi Consigli regionali.
      I Consigli delle autonomie locali, precisa infine il secondo periodo del comma 3, provvederanno ad eleggere i senatori di propria competenza solo quando saranno ricostituiti in conformità ai princìpi uniformi di composizione definiti con legge dello Stato; sino ad allora, anche l'elezione di tali senatori sarà effettuata dai Consigli regionali.

      L'articolo 22 reca una «clausola di salvaguardia» per le Regioni a statuto speciale, la cui formulazione è del tutto simile a quella di cui all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, di revisione del Titolo V. Essa prevede che, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti di autonomia (da effettuare con legge costituzionale), le disposizioni introdotte dalla riforma si applichino anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite.

 

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